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214/377: Mores

ISPIRAZIONE

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Partenza presto, ancora caldo. Questa settimana sarà dura, non solo per la pedalata ma anche per le visite nel territorio. Pedalo tra i bellissimi campi gialli del Logudoro, quasi tutto in piano tranne l’ultimo tratto in leggera salita prima di arrivare a Mores, costeggiando un costone di calcare bianco e arenarie scavate, dove intravedo qualche buco naturale e qualcuno che mi sembrano domus de janas.

Arrivo al Bar Italia dove mi aspetta una delle quattro sorelle Becciu, che si son fatte carico della mia ospitalità, Andreina, subito raggiunta dalla sorella Nica. Insieme mi portano nella casa dove starò ospite, del fratello Gianni che vive a Berchidda e che, insieme a tutte le sorelle, lavora per l’organizzazione della tappa di Time in Jazz qui a Mores…dove quest’anno suonerò io!

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Mi lasciano la mattina libero per visitare un po’ il paese. Mi dirigo in Comune, il cui ingresso si trova in una piazzetta con due bei murales in ceramica opera del maestro Giuseppe Silecchia, toscano ma vissuto a Sassari fino alla sua morte nel 2015. Mi riceve il Sindaco Giuseppe, che ho già conosciuto ieri a Ittireddu, col quale prendo un caffè, prima di riprendere la bici per gironzolare sotto un sole cocente.

Prima tappa la chiesa di Sant’Antonio, con una bella piazzetta antistante, in passato sede del concerto di Time in Jazz. Attaccato si trova il convento dei frati cappuccini, che mi hanno consigliato di visitare. È chiuso. Suono. Nessuna risposta. Vado via. Direzione la chiesetta di Santa Croce, nel centro storico. La chiesa è chiusa, ne approfitto per girare le strette viuzze del centro, che purtroppo per me, visto il caldo, salgono verso l’alto.

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Molte case storiche, in una noto una targa dedicata al poeta locale Giuseppe Calvia. Poi una casetta dalle cui finestre-vetrine ammiro una serie di oggetti e cianfrusaglie di ogni tipo: è la bottega di  Mastro Cosimo, chiusa. Accanto una piazzetta e una ringhiera che si affaccia sul paese, sormontato dall’altissimo campanile della chiesa principale di Santa Caterina, uno dei più alti della Sardegna. Scendo fino alla parte bassa del paese, al vecchio lavatoio, dove mi siedo per un po’ all’ombra per riprendermi dal caldo.

A pranzo sono in centro storico, nella casa recentemente ben ristrutturata di Nica, col marito Tonino, insieme  alle sorelle Andreina e Caterina. La ricotta salata è strepitosa, e anche il liquore di assenzio a fine pranzo! Il pomeriggio è troppo caldo per pensare di fare qualsiasi cosa. Mi riportano al mio alloggio dove riposo e lavoro.

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Nel tardo pomeriggio viene a prendermi Federica, figlia di un’altra sorella Becciu (mi raccontano che in origine erano 16 tra fratelli e sorelle!). Un frate del convento è stato avvisato perciò ci dirigiamo lì per una visita. Il convento venne ultimato nel 1715, accanto alla chiesetta di San Pietro, poi cambiata in Sant’Antonio (un quadro nella chiesa raffigura il passaggio di chiavi tra i due santi). All’interno un bel chiostro, con un pozzo centrale, che mette in mostra anche qualche opera d’arte di alcuni frati. Il frate ci guida attraverso i corridoi, il refettorio, e poi un bel cortile con vista fino a Ittireddu.

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Rientrati a prendere Caterina, ci dirigiamo alla zona alta del paese, detta Funtanedda, dalla quale si ammira un bellissimo panorama. Da qui poi verso la chiesetta di Santa Lucia, in una stretta vallata tra i calcari bianchi del Monte Lachesos. Su un lato della valle si arrampicano capre, sull’altro ci vengono incontro degli asini. Nella zona si trovano importanti domus de janas che però non riusciamo a visitare a causa dell’alta e secca vegetazione. La chiesetta di Santa Lucia, nonostante non sia in un buono stato, è speciale. Anche qui vennero fatti dei concerti di Time in Jazz.

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Rientriamo in centro paese, passando dalla Funtana Ezza (vecchia fontana) per riempire la bottiglia d’acqua, svuotata nella ciotola di due cani legati in un terreno vicino a Santa Lucia che sembravano morti di sete. Federica mi mostra un sacco di scorci, finestrelle, casette antiche, molte ormai vuote. Poi da qui ci spostiamo nelle campagne verso Ittireddu, per vedere uno dei monumenti più importanti della zona, ma anche del Mediterraneo. Arriviamo infatti al Dolmen Sa Coveccada, uno dei più grandi di tutto il bacino del Mediterraneo. Il monumento è protetto da una copertura contro gli agenti atmosferici, ma ci si può entrare, ammirando i lastroni immensi. Sul lato sinistro il lastrone è scavato in una nicchia, che pare contenesse le spoglie di un importante sovrano della zona. Il sole sta tramontando e la luce su tutta la piana è magnifica. La vista arriva fino ai monti di Ittireddu, e il suo vulcano.

L’ultima tappa di questa giornata di fuoco è la chiesa campestre di San Giovanni, luogo importante di vecchi pellegrinaggi da tutto il territorio. Tutt’intorno un bello spiazzo verde, con vista sul Logudoro e le montagne intorno. È proprio qui che questo 12 agosto suonerò per la rassegna Time in Jazz, che negli ultimi anni ha scelto questo luogo per i concerti mattutini. Non vedo l’ora! A nos bidere, Mores.

 

FRAMMENTI SONORI

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BREVI NOVELLE SARDE

Mi sto avvicinando ad uno dei monti più significativi del nord Sardegna, il Monte Santo, che appartiene in prevalenza al Comune di Siligo, ma dei versanti anche ad Ardara, Mores e Bonnanaro. Il suo aspetto imponente con la sommità piatta lo rende visibile da tutto il circondario, ed il suo nome non può che derivare dall’aura spirituale che questo monte doveva possedere fin dall’antichità. Ma è l’altro monte di Mores, il Lachesos, che gli antichi abitanti della zona hanno scelto per le loro necropoli. E tra le tante, esiste una cavità chiamata Su Puttu Porchinu, che nel suo famoso dizionario il Casalis definisce come “una gran caverna artefatta dove i pastori posson talvolta sottrarre dal temporale cinque o seicento porci. Da questa camera si può andar più in là per un lungo androne”. Il mistero di questa caverna ha dato origine a racconti misteriosi, uno dei quali è contenuto nel libro I Luoghi e i Racconti più strani della Sardegna, ed inizia così: “Un porcaro di Mores, un giorno, mentre conduceva i maiali al pascolo, giunse inavvertitamente presso la grotta di Puttu Porchinu. e bestie, libere di scorrazzare, erano entrate in fila all’altra nell’anfratto. Il giovane uomo le seguì”. Penso di possedere questo libro, e certamente a viaggio concluso cercherò di leggere questo racconto per sapere cosa succede dentro Su Puttu Porchinu…