Sindia

247/377: Sindia

ISPIRAZIONE

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Base del Nuragh’Elighe

La giornata è caldissima, il paesaggio attorno a Sindia giallo e rosso, fieno e basalto della Planargia, e quando arrivo all’Agriturismo Nuragh’Elighe, nel mezzo delle brulle campagne, Bruno mi accoglie e mi sistema in una bella cameretta fresca dove rimango fino a quando il caldo torrido non diminuisce un po’.

Nel pomeriggio approfitto per ammirare la base del nuraghe che si trova proprio dentro il terreno dell’agriturismo. E di nuraghi qui intorno ce ne sono tantissimi, e me ne aspetteranno molti anche nei giorni seguenti. Poco distante ammiro in nuraghe Santa Barbara, conservato benissimo, poi mi dirigo verso il paese.

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Nuraghe all’interno di abitazione privata (interno)

Sindia è ricca di palazzine eleganti, case in basalto, molte con il classico bordo in trachite rossa, più o meno decorata. Lascio la chiesa parrocchiale Nostra Signora del Rosario sulla strada principale per andare alla ricerca di un nuraghe indicato su Google Maps (ripenso sempre sorridendo a tutte le persone che mi hanno detto “il nostro è l’unico paese con un nuraghe al suo interno!”).

Arrivo al punto indicato ma trovo solo palazzine. Controllo bene il punto e l’accesso e capisco che il nuraghe è all’interno di una di queste abitazioni private. Che fare? Me la tento. Suono il campanello nella palazzina più elegante. Dopo un po’ apre una signora. Chiedo un po’ imbarazzato “scusi, mi sa indicare dove si trova il nuraghe?” e lei risponde “lo vuole vedere, prego si accomodi”.

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Nuraghe all’interno di abitazione privata (esterno)

Incredulo seguo la signora attraverso il salone e passata una porta mi trovo un muro nuragico di fronte, dentro casa, con una porticina che porta all’interno della tholos, dove sono ben conservati salsicce e formaggi!

La signora non parla. Mi lascia guardare e fare foto, poi mi dice “venga c’è anche l’esterno”. Usciamo nel cortile, dove si trova l’altra metà del nuraghe, con una scaletta che conduce alla sommità, circondata da una mini ringhiera che lo rende probabilente la terrazza più antica della Sardegna!

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Trachite con incisione data, chiesa di San Pietro

Ringraziata la signora, esco per continuare il giro in paese. Arrivo alla bella chiesetta di San Pietro, pare del XII secolo, dove, come un esploratore a caccia di dettagli, individuo diversi conci di trachite rossa con indicate varie date, AD 1640, AD 1696.

Proseguo arrivando alla chiesa di San Giorgio del periodo aragonese, in un piazzale all’estremità nord del paese, e poi mi dirigo verso la zona bassa per vedere le Fonti di Banzu, sorgenti naturali d’acqua che sgorgano su vasconi di trachite rossa. Ne approfitto per dissetarmi in questa giornata di fuoco.

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Statua all’interno dell’abbazia di Santa Maria di Corte

Non lontano da qui dovrebbe esserci anche la Tomba dei Giganti Su Furrighesu, ma non riesco a trovare l’accesso al punto indicato su Google Maps. Decido così di andare a visitare la chiesa di Santa Maria di Corte o Cabuabbas. Questa si trova un po’ fuori dal paese, in quella che mi sembra un’oasi di refrigerio datomi dalla presenza di alberi tutt’intorno. La vecchia abbazia romanica, edificata nel 1149, venne in parte ricostruita nel Seicento, con rocce basaltiche scure, comunque bellissima.

Vi entro, per ammirare il coro, parte originale, e il transetto che comunica con l’area dove si trovava il monastero dei frati cistercensi, demolito per costruire le chiese del paese. Resto a godere il fresco nel buio della chiesa dove le uniche luci illuminano le varie statue.

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Indicazioni ponte romano Oinu

Rientrato all’agriturismo Bruno mi consiglia di andare a vedere i resti del ponte romano Oinu, a dieci minuti di cammino a piedi. Seguo un sentiero dove i cartelli (nel mezzo del nulla!) mi indicano la direzione.

Avvisto il ponte, coperto di vegetazione, e mentre scendo la scarpata che porta al letto del fiume ormai secco, da dove voglio fotografare il ponte, metto male il piede e scivolo. Sento un dolore fortissimo alla caviglia. Sto un po’ fermo e provo a muovere il piede. Per fortuna non sembra nulla di rotto.

Faccio le mie foto alle affascinanti arcate del ponte, e pian piano, col dolore alla caviglia che aumenta rientro lentamente all’agriturismo. Incrocio una mandria di vacche che rientrano lentamente al loro recinto. Comunque son più veloci di me. Non mi resta che imbottirmi il piede di ghiaccio mentre Bruno mi prepara una succulenta cena, sperando che il risveglio di domani non riservi brutte sorprese.

 

FRAMMENTI SONORI

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BREVI NOVELLE SARDE

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Muretto a secco

In Sardegna non parlare di pietre sarebbe impossibile e assurdo come lo sarebbe non parlare di mare. Oggi ho visto solo pietre, quelle dei nuraghi, quelle delle case, delle chiese, ma specialmente quelle che costituiscono i muretti a secco che delimitano le varie proprietà terriere.

Nel 2018 l’Unesco ha riconosciuto l’arte di costruzione dei muretti a secco, il “dry stone walling”, come patrimonio immateriale dell’umanità. Oltre all’Italia ci sono anche Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera. Un’arte tutta (o quasi …+…) mediterranea.

Qui in Sardegna fu un provvedimento legislativo del Regno emanato il 6 ottobre 1820 dal re Vittorio Emanuele I e pubblicato nel 1823, noto come “editto delle chiudende” ad autorizzare la recinzione dei terreni che per antica tradizione erano fino ad allora considerati di proprietà collettiva, introducendo di fatto la proprietà privata.

Purtroppo questo provvedimento diede spesso luogo all’estrema frammentazione di certi terreni, con conseguenti problemi di pascolo e dunque di tensioni tra proprietari e pastori. I muretti a secco sono anche stati un elemento di “riparo” per banditi e criminali, che li hanno usati come postazioni nascoste da cui sparare colpi mortali o sferrare agguati a fin di sequestri di persona.

Oggi i muretti a secco rimangono degli affascinanti elementi del paesaggio rurale sardo, che, insieme a nuraghi, pinnetti (oltreché chiese ed abitazioni) riflettono sempre la geologia del territorio.