356/377: Segariu
ISPIRAZIONE
Oggi solamente due chilometri in pianura. Li percorro nel freddo mattutino ammirando le colline intorno, mezzo coperte di nebbia, le cui sommità calcaree di stagliano in aria nello stile dei tacchi dell’Ogliastra.
Me l’avevano anticipato, nel cartello d’ingresso, oltre al nome Segariu compare un “Las Vegas” aggiunto a pennarello… E io ci aggiungo il mio adesivo!
Arrivo alla piazza principale dove mi accoglie Alex, il giovane vice-sindaco che, dopo avermi offerto un caffè e portato a lasciare bici e bagagli alla casa dove dormirò stanotte, mi accompagna a vedere un po’ di cose, raccontandomi alcune vicende di questo paese, crocevia tra Medio Campidano, Marmilla e Trexenta, ai piedi di colline calcaree completamente sventrate dalle attività estrattive, che sostituirono per sempre l’attività storica di questo paese, la produzione di tegole.
Mentre costeggiamo il Rio Pau che attraversa il paese, poi attraversando il Rio Lanessi, Alex mi racconta della terribile alluvione del 2008 che ha lasciato danni notevoli e fango in tutto il centro del paese. Da allora gli argini son stati rinforzati anche se i lavori devono ancora terminare.
Arriviamo alla chiesetta di Sant’Antonio da Padova, edificata sopra un pozzo sacro nuragico, al quale accediamo tramite una botola in legno che scopre le scale che scendono fino alla cavità piena d’acqua proprio sotto l’altare! Non lontano da qui si trova il nuraghe Sant’Antonio, quadrilobato, di cui rimane poco, ma con ancora tanto da scavare, anche nelle sue vicinanze.
Poco più avanti si trovano degli impianti sportivi nuovi e delle strutture, la Casa dell’Artista, un forno per le tegole riedificato all’aperto, e il Museo delle Tegole dove, oltre alla storia dei materiali e della produzione della tegola, si trova una sezione dedicata alla storia estrattiva delle cave di calcare e di caolino.
Alcuni pannelli descrivono i ritrovamenti archeologici, tra cui una bella dea madre oggi custodita al museo di Cagliari, ritrovata da un agricoltore che arava i suoi campi verso Serrenti. Qui fuori si trovano anche delle capanne pre-nuragiche, spostate pezzo per pezzo dalla zona delle cave.
Dopo una passeggiata in centro, tra le strade ricche di pozzi e su cui affacciano vecchi portali in legno, risaliamo verso la zona alta, e arriviamo a Sa Mitza dove si trovano due pozzi del 1913.
Qui vicino vi sono anche diversi fornaci dove si produceva la calce. Un signore ci dice che Segariu è il paese delle sette chiese (alcune scomparse come quella di San Sebastiano), delle sette fontane e dei sette vicinati. Da qui ci spostiamo sull’altra collina dove si trova una bella pineta e da cui possiamo ammirare il bel panorama sui campi e le colline della Marmilla, fino alla Giara di Gesturi.
Prima di pranzo riusciamo a superare un ponte canale che porta acqua verso la diga di Furtei e a raggiungere una bella zona boscosa dove ci arrampichiamo per arrivare ai costoni calcarei, Is Costas, dove ci sono resti di domus de janas, grotte e rifugi di pastori. Di fronte a noi un bellissimo panorama e altri picchi calcarei detti Sa moba ‘e su casteddu.
Nel pomeriggio, dopo aver visitato le cave Tagliaferri, concludiamo alla chiesa di San Giorgio, di fronte all’ex Monte Granatico, all’interno della quale si trova un bellissimo retablo policromo.
FRAMMENTI SONORI
BREVI NOVELLE SARDE
Le attività estrattive in Sardegna, più che novelle possono essere considerati romanzi, come quello delle cave Tagliaferri, che visitiamo nel pomeriggio, le uniche rimaste aperte dopo che quelle Vargiu, lì accanto, chiusero diversi anni fa.
Qui incontriamo il direttore del cantiere che ci accompagna nella visita, tra impianti per la produzione di svariati materiali prodotti dallo sbriciolamento di questi calcari fossiliferi miocenici.
Le attività iniziarono negli anni Sessanta, ma ormai la produzione è calata talmente tanto dopo la crisi che le sirene, che avvisano il paese dell’imminente esplosione di una mina, suonano solo una volta al mese, mentre prima anche due o tre volte alla settimana.
Saliamo in macchina lungo i gradoni dei fronti di cava e, arrivati in cima, la vista con i macchinari sotto è impressionante. Il direttore cerca i punti migliori da cui scattare una foto. Poi avvista una struttura enorme, dalla quale si allunga una passerella nel vuoto della cava. “Seguimi”.
Tentenno un po’, ma entro sulla passerella che si allunga nel vuoto. Iniziano a farmi male i piedi. Mi ricordo di tutte le volte in cui, in questo viaggio, son stato sul filo di strapiombi incredibili, oppure di quando mi sono arrampicato su un nuraghe dalla parete esterna, o quando ho attraversato il ponte del trenino verde, e mi faccio coraggio.
Cammino nel vuoto e arrivo alla fine della passerella. Da qui faccio foto di sotto, di fronte e ai lati. Il senso di vertigine non c’è. “Non soffri di vertigine, hai solo paura del vuoto”, mi dice il direttore.
Forse è la paura del vuoto che ci sarà alla fine di questo viaggio?