
376/377: Quartu Sant’Elena
ISPIRAZIONE

Ci siamo, ultimo giorno, cerco di non pensare all’arrivo ma a dedicare il più possibile a Quartu Sant’Elena, la terza città della Sardegna (dopo Cagliari e Sassari). Impossibile pertanto pensare di vedere tutto ma decido di concentrarmi su due aspetti: il centro storico e le zone naturalistiche e costiere.
Dunque mi metto in bici di mattina da Pizz’e Serra, quartiere periferico di Quartu, per dirigermi simbolicamente al Municipio, anche se non mi aspetta nessuno (eccetto Cagliari, tutte le principali città non hanno risposto alla mia email, forse per i troppi impegni, forse per non essere interessati al mio progetto).

C’è molto movimento, traffico di macchine, persone che vanno di qua e di là, ed io a tutto ciò non ci sono più abituato. Sono talmente spaventato della guida delle macchine che decido di scendere e camminare sui marciapiedi spingendo la bici a mano. E arrivo alla piazza del Comune, che subito mi colpisce per la presenza di alcune opere d’arte su delle facciate di palazzi alti che senza queste opere sarebbero stati certamente più tristi. Una, bellissima, fatta di cocci di vetro, scopro essere dell’artista Rosanna Rossi. Un’altra fatta di cocci di mattoni, ceramica e pezzi di metallo non scopro di chi sia.

Qui di fronte si trova Sa Domu ‘e Farra, una storica casa campidanese, appartenuta al ‘cavaliere’ Musiu morto da poco. Entro nella bellissima corte, con il pozzo centrale e gli ambienti tutt’intorno. Mi accolgono Beatrice e Stefano, dell’associazione Il Dado d’Arte che gestisce la struttura, i quali mi fanno da guida negli spazi. C’è un po’ di tutto, esposizione di quadri, di abiti tradizionali, una bella fotografica dedicata a siti archeologici del territorio, numerosissimi e che purtroppo non vedrò. Mi serve per ricordarmi che i nuragici si erano spinti fino a qui, come dimostra il Nuraghe Diana a Capitana, sulla costa.

E poi la sezione storica, con la descrizione delle torri costiere, quella di Mortorio, di Cala Regina, e quella del Poetto ormai crollata e mezzo sommersa dall’acqua, ma che in foto non tanto vecchie appariva in piedi e sulla spiaggia, attorno alla quale ci si faceva fotografare. Poi la storia dei tre villaggi Ceppola, Quarto Jossu (Quartu Susu corrispondeva a Quartucciu) e Quarto Domino. La descrizione delle chiese, molte e che (vista la quantità infinita di chiese che ho visto in questo viaggio) dubito riuscirò a visitare.
Poi un po’ di storia più recente, il 1889, “s’annu e s’unda”, quando un’alluvione devastò il territorio e l’abitato e dopo la quale vennero costruiti una serie di canali. La storia di Eligio Porcu, medaglia al valore militare, morto nella Prima Guerra Mondiale. e la storia dei fortini della Seconda Guerra Mondiale, e delle strutture come lo sbarramento militare a gradini nell’ultima parte delle saline, ancora visibile, per evitare gli sbarchi dal mare.

Uscito da Sa Domu ’e Farra prendo la via Eligio Porcu, sempre camminando con la bici a spinta, entro nel cortile dell’antica Casa Olla, dove è allestito un mercatino di Natale (e chi ci sta pensando al Natale!) e arrivo alla centrale Piazza Matteotti. Da un lato i bei giardini sui quali si affacciano il retro della chiesetta di Sant’Agata e l’annesso ex-convento dei frati Cappuccini, ora Scuola Civica di Musica.

Dall’altro lato una serie di vecchie case, alcune dai tratti nobili ma ormai mezzo abbandonate. E poco più avanti la imponente chiesa parrocchiale di Sant’Elena. Purtroppo ci sono pulizie in corso e non riesco a visitarla ma affacciandomi leggermente riesco ad intravedere lo sfarzo dei marmi che ricoprono tutte le pareti.

Faccio un ultimo giro prima di pranzo, per le stradine più interne, dove è facilissimo perdersi. Strade strette, con percorsi sinuosi, che a volte finiscono nel nulla, e dove perfino un geologo come me perde completamente il senso dell’orientamento. Molte case campidanesi, con limoni che spuntano dai muri di cinta, muri spesso in mattoni di fango, ingressi con larghi portali in legno, nuovi e vecchissimi. Ed arrivo fino al confine con Quartucciu per visitare l’ex sito delle Fornaci Picci, oggi un sito di interesse archeologico-industriale, con i suoi capannoni e ciminiere, che fino al 1985 ha prodotto laterizi.

Il pomeriggio lo dedico ai siti fuori della città. Purtroppo per questione di tempo non potrò visitare la bellissima costa che dal Margine Rosso si estende fino a Terramala, passando per Sant’Andrea, Flumini, Capitana. Mi accontento di pedalare intorno agli stagni di Quartu, costeggiando le vasche dove i fenicotteri rosa non si fanno intimorire dal traffico e mangiano tranquilli con la testa immersa nell’acqua.

Tutte queste zone umide rientrano nel Parco di Molentargius. Pedalo lungo una strada sterrata che costeggia lo stagno e i canali, fermandomi su una vedetta di avvistamento per il birdwatching: vedo all’orizzonte le colline calcaree di Cagliari, la Sella del Diavolo, Monte Urpinu dove il viaggio della mia vita ha avuto inizio. Domani, con il numero 377, si chiude un cerchio.

FRAMMENTI SONORI
BREVI NOVELLE SARDE

Oggi dormo a casa dell’amico Gianluca, al Margine Rosso, la stessa dove, ormai più di un anno fa, trascorrevo le ultime settimane pianificando la partenza. Mi viene in mente come il nome Margine Rosso sia l’esempio lampante delle cattive traduzioni di molti toponimi sardi, forzatamente italianizzati. Certo qui siamo al “margine” del Poetto, la sua estremità orientale. ma perché rosso? La verità è che questo luogo si chiamava un tempo Margiani Arrubiu, la volpe rossa, per la presenza di una specie endemica di volpe.
E così, se si va a ricercare, si trova che Golfo Aranci si chiamava un tempo Golfu di li Ranci, che in gallurese significa golfo dei granchi. Così come l’Isola dei Cavoli, non molto lontana da qui, che si chiamava Isula de is Càvurus, ancora una volta granchi.
L’Isola di Mal di Ventre invece, al largo della costa oristanese, si chiamava Malu ‘Entu, vento cattivo.
Poi c’è l’Isola dell’Asinara, il cui nome sembra scontato vista la presenza nell’isola degli asini bianchi, anche se sembra che il nome possa derivare dall’antico nome romano “Sinuaria”, che ne indicava la forma sinuosa e allungata.
Genn’e Mari, la porta del mare, che l’attitudine cristiana dei sardi ha trasformato in Genna Maria. E tanti altri meno conosciuti che si possono pian piano scoprire solo visitando i territori capillarmente, parlando con la gente, e facendo ricerche approfondite.