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123/377: Elini

ISPIRAZIONE

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Parto in una giornata soleggiata ma freschetta, ricordandomi di essere a 700 m sul livello del mare (che tra l’altro vedo di fronte!). Oggi non devo quasi pedalare, 2 chilometri di discesa, e anche bella ripida con qualche curva!

Entro a Elini, un paesino di poco più di 500 abitanti che molti sardi non hanno mai sentito nominare, e dopo aver superato l’attraversamento della ferrovia a scartamento ridotto, arrivo subito alla piazzetta principale, dove si affacciano il Comune e la chiesa moderna di San Gavino Martire. Mi raggiunge subito Giorgio, tornato dal suo turno di guida all’ARST, che mi ospiterà per la giornata. Abbiamo solo qualche ora prima che Giorgio debba fare un altro turno di qualche ora, e ne approfittiamo per fare un giro.

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Giorgio mi racconta che Elini è chiamato ‘sa mamma de Arzana’. Il primo insediamento era leggermente spostato rispetto all’attuale Elini. Gli abitanti scapparono per una pestilenza, una parte andando nella parte bassa di Arzana, e un’altra nell’attuale centro. Guidiamo fino ad una nuova zona del paese, e Giorgio mi dice che Elini non soffre di spopolamento, anzi è in leggero aumento grazie agli acquisti di case di stranieri. Poi guidiamo nelle strette stradine del centro storico, su Bixinau Su Murone, per rientrare alla zona della piccola stazioncina della ferrovia, proprio dietro la piazza centrale.

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Usciamo poi dal centro e guidiamo nella campagna. Qui passa la ferrovia del Trenino Verde, fermo in questa stagione ma che d’estate riprende l’attività. Passiamo delle vecchie cantoniere tutte in granito e Giorgio mi racconta che qui vivevano delle famiglie. La ferrovia era un elemento vitale, e dava lavoro a diverse persone. Rientrati in paese Giorgio mi porta dal suocero, un anziano signore che mi conferma le origini di Elini, ricordandosi un rudere di una chiesa nell’area di San Giovanni dove un tempo sorgeva il villaggio originale.

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Giorgio torna al lavoro e io ne approfitto per rimanere al bar centrale a mangiare e a lavorare, tra una chiacchera e l’altra con il barista, interessato all mio progetto, e qualche cliente di passaggio. Quando Giorgio rientra dal suo turno mi porta al Parco Carmine, una bellissima area verde sopra il paese, dove si trova la chiesa della Madonna del Carmelo, un bosco di lecci fittissimo, e un punto panoramico granitico dal quale si ha un’altra prospettiva della piana sottostante.

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L’ultima tappa è casa di tzia Virginia, un’arzilla signora anziana che mii racconta qualche episodio della sua vita. Ormai la luce è calata, faccio le ultime foto in paese e torniamo a casa di Giorgio, nelle campagne poco fuori il paese. Qui ceniamo insieme a sua moglie Patrizia e a Tonina, figlia di tzia Virginia, che ci porta il tipico anguli ‘e cibudda, pane ogliastrino alla cipolla. La serata trascorre piacevolmente in chiacchere di arte, musica, politica e vita.

 

FRAMMENTI SONORI

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BREVI NOVELLE SARDE

Tzia Virginia parla solo in dialetto sardo ma per fortuna l’Ogliastrino è simile al Campidanese, e con l’aiuto di Giorgio riesco a capire più o meno tutto. Fa parte di quelle persone che vissero in una casa cantoniera della vecchia ferrovia del Trenino Verde. Ci racconta di come vivessero lì in poche stanze, cinque figli, di cui alcuni nati proprio lì, in condizioni dure, come il freddo, senza luce, senza telefono, senza bagni. Si faceva il fuoco nel braciere, ci si lavava nella tinozza.

Le mattine invernali l’unica cosa che si vedeva era bianco, la neve, a perdita d’occhio. E questo manto bianco veniva interrotto ogni giorno solo da una strisciolina scura, il passaggio dei mufloni in fila indiana, cinque femmine precedute da un maschio. Così come il treno, che passava ogni giorno. Per uscire dalla casa dovevano regolarmente rompere le lastre di ghiaccio. In questa casa tzia Virginia è passata direttamente da bambina a donna responsabile. Dall’età di 7 anni iniziò a fare tutto in casa, curare le capre, fare il pane, il pistoccu, tutto da sola, e ha accudito e cresciuto il fratellino nato qua.

Giorgio la stuzzica un po’ chiedendole se a quei tempi si vedevano in giro dei banditi, e lei dice certo! Una volta all’arrivo di alcuni di questi, lei e la mamma si barricarono dentro. La madre la mandò di corsa di sopra a suonare la ‘tromba’, della quale erano fornite tutte le cantoniere all’epoca, per poter comunicare tra loro o dare allarmi. Tzia Virginia era piccola e il suo fiato troppo debole, perciò soffiando dentro la tromba non uscì nulla. A volte questi banditi cercavano solo un po’ di rifugio e cibo. Quando Giorgio le chiede se alcuni di questi banditi vennero ospitati e se si instaurò un rapporto cordiale, tzia Virginia fa solo un cenno senza dire nulla e cambia discorso.